domenica 30 marzo 2014

Clinamen.

La mia è sempre stata una famiglia senza autodeterminazione.

Uno di quei lunghi cliché senza arte ne parte che mi straziarono l'adolescenza costringendomi a vivere segregata in quelle quattro mura anche quando fuori c'era uno di quei soli caldi e accoglienti. Purtroppo vivevamo lontano da qualsiasi punto d'accesso sociale e questo mi porto, in breve tempo a non avere amici e a vivere in solitudine con quella che, a poco a poco, è diventata la mia peggior nemica. L'altra me.
Per loro era facile, avevano creato così tanti problemi tra loro due che, naturalmente, passarono in eredità al quel povero feto che viveva legato ad un cordone ombelicale che cercava di tirare avanti nonostante il poco cibo e le ripetute botte e litigi. Diciamo che quando sono uscita le cose non sono poi migliorate. Da quel corpicino minuscolo e tutto un livido, nessuno si aspettava nulla. Malnutrito, maltrattato e che non poteva aspettarsi una vita migliore. Era piccolo e indifeso, e nei suoi occhi nessuno vide mai un pizzico di vera felicità. La scuola non lo guardava di buon occhio, non aveva nemmeno spazio per la genialità in un corpicino così misero, con gli occhi lucidi e le occhiaie scavate sul suo visino pallido pallido. Eppure andava avanti; e superava tutti quelli che si fermavano a deriderlo, come tutti i compagni di classe e le maestre. Andava vestito di stracci, con colori sgargianti e a volte un po' malridotti dai lavaggi sbagliati fatti dalla lavatrice. Aveva uno zaino troppo grande per lui, malformato dal peso dei libri e logorato dal tempo. La sua vita è un continuo di momentacci che "passeranno ne sono sicura"; un eterno angoletto della classe nel quale mangiare il suo panino con la cioccolata.

giovedì 27 marzo 2014

Guardami negli occhi e dimmi cosa vedi.

In questo periodo la mia vita ha uno di quei filtri sui toni biancastri, come quando gli occhiali si appannano perché avete respirato troppo profondamente. Allora mi tocca camminare più lentamente, in modo da non inciampare in qualche ostacolo che, piano piano, si articola sulla mia lastra presente. Il tempo in questo periodo è come me, alterna l'euforia del sole alle depresse serate della pioggia violenta e fredda. Anche io, con essa, mi abituo al tempo, cercando di regalare alle persone che amo almeno un sorriso al giorno; Uno di quei sorrisi e provvidenziale e serve sempre per far iniziare bene la giornata, gli altri arrivano via via a seconda di chi ho davanti o da chi, a sua volta, mi dona quella sincera brezza di ottimismo che mi spinge a mettere la parola "Buon" davanti a questo fatidico nuovo giorno.

Sono successe tante cose in questi giorni, ho conosciuto la nemesi della realtà che ho intorno, una nemesi che non mi sembra né cattiva né perfida e questo mi ha spinto a pensare. Se egli non fosse necessariamente il cattivo? Se il male fosse colui che giace con me e mi abbraccia quando ho freddo? Perché questa è la nemesi, quella faccia della medaglia un po' impolverata che non mostri mai alle persone, perché sì sa, si mostra sempore il meglio di ciò che si ha. Ma allora io che cos'ho? Se fosse il bene non avrei altre domande, l'immagine che ho di lui impressa sul cuore e stampata nelle retine degli occhi è la stessa che possiede lui nascosta in se, ma se fosse vero che non mi sia mai accorta di camminare con la mano stretta a quello che, per tanti anni, è stato il mio peggior incubo?

Eppure è così semplice amare il coltello che ci infilzava e che, ancora adesso, ha cambiato solo gli abiti e invece di corna rosse ha un aureola ed un vestitino bianco di moda? Forse quello che mi ha spaventato e che mi ha fatto male ormai è diventato parte di me, come solo un vaccino creato dalla malattia può combatterla; avranno fini diversi,ma l'origine è la stessa. Che sia questo abbracciare i propri nemici e inglobarli in se stessi, diventare il male che hai subito per non soffrirne più ma essere coscienti e razionali abbastanza per non fare gli stessi sbagli e infierire con il coltello appeno conquistato un'altra povera vittima che, in diversi archi di tempo, non farà altro che inglobarti e diventare parte di te, anzi, per poi te diventare una sua parte?
Questo siamo, un equilibrio stabile ta quel concetto assoluto di sbagliato e quel relativo bene che varia di istante in istante, da quando pensi a te stesso e al tuo futuro a quando poi hai sotto le tue ali la felicità di un altro cuore e quando, in uno di quei futuri sperati e a volte mai pensati che ti porteranno ad amare due persone indistintamente dall'ora in cui ti sveglierai e andrai a letto.

E poi beh, la soddisfazione sarà essere chiamata mamma. 

martedì 11 marzo 2014

A spada tratta.

E' tanto che non scrivo più. E' strano, riempo pagine e pagine del quaderno di fisica di storie e sogni, ma in questo mese ho avuto paura di aprire il blog; avevo il terrore di leggermi di nuovo.
Perché questo è il blog, il blog sono io, siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi, e nonostante chiuda le mie paure nelle parole di questa pagina web, esse, anche se non me ne accorgo, restano in me, assillandomi all'improvviso dopo pochi istanti di quiete. Ma di cosa ho paura?
Di cosa ...
Magari lo sapessi.
Esistono tante cure alla paura, le vecchie civiltà realizzavano opere artistiche con tema la morte per esorcizzare le paure millenaristiche, io invece, nemmeno o perché la notte la passo a guardare il soffitto perché la notte e i pensieri mi spaventano.
Sarà quel brivido che sento lungo la schiena quando penso alla mia vita; quando mi guardo allo specchio e quello che vedo mi fa ribrezzo, mi prende la paura della mia immagine riflessa perché mostra quello che cerco di nascondere ai miei occhi; ma se fosse così... Io avrei paura di me stessa.
E come darmi torto? Una persona che sai uguale a te, ma che quando guardi traballa tra i tuoi standard e capisci che quel minimo di bellezza che credevi di avere, si dissolve come una bolla di sapone sotto il cielo candido della prima estate.