martedì 11 marzo 2014

A spada tratta.

E' tanto che non scrivo più. E' strano, riempo pagine e pagine del quaderno di fisica di storie e sogni, ma in questo mese ho avuto paura di aprire il blog; avevo il terrore di leggermi di nuovo.
Perché questo è il blog, il blog sono io, siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti gli incubi, e nonostante chiuda le mie paure nelle parole di questa pagina web, esse, anche se non me ne accorgo, restano in me, assillandomi all'improvviso dopo pochi istanti di quiete. Ma di cosa ho paura?
Di cosa ...
Magari lo sapessi.
Esistono tante cure alla paura, le vecchie civiltà realizzavano opere artistiche con tema la morte per esorcizzare le paure millenaristiche, io invece, nemmeno o perché la notte la passo a guardare il soffitto perché la notte e i pensieri mi spaventano.
Sarà quel brivido che sento lungo la schiena quando penso alla mia vita; quando mi guardo allo specchio e quello che vedo mi fa ribrezzo, mi prende la paura della mia immagine riflessa perché mostra quello che cerco di nascondere ai miei occhi; ma se fosse così... Io avrei paura di me stessa.
E come darmi torto? Una persona che sai uguale a te, ma che quando guardi traballa tra i tuoi standard e capisci che quel minimo di bellezza che credevi di avere, si dissolve come una bolla di sapone sotto il cielo candido della prima estate.

Quello che credevo, quello che io credevo di essere, svanisce ogni volta che mi sveglio, da questo sonno pesante in cui sono caduta chissà quanti anni fa, e ogni volta alla scelta della vita preferisco dimenticare tutto e riprendere la vita di tutti i giorni, sapendo, in cuore mio, che quell'instante di scelta c'è stato, ma non ricordo le opzioni che mi hanno proposto e quella che io, alla fine, ho scelto.
Per ora vivo così, con la paura di qualcosa che ho sempre affianco, ma che non conosco. Alternando momenti di lucidità ad un oblio mentale che mi costringe a rifugiarmi in uno dei posti che, purtroppo, ritengo protetto ma che mi lacera ogni volta di più le carni: la mia mente.
Che ha combattuto per me ogni battaglia, mentre io ero nascosta dietro di lei con gli occhi chiusi per non guardare il martirio che essa stava ricevendo; quando era l'animo a prendere gli insulti e le botte destinati al corpo. Che, totalmente indifeso, si trovava addosso lividi e dolore che non conosceva, ma i lividi più scuri, le ferite più gravi, le avevo sul cuore, che botta sopra botta, resisteva; perché non poteva fare altrimenti, lasciarsi sopraffare dalla paura avrebbe portato a qualcosa di peggio di un piagnisteo lungo una notte intera, e lui il potere di mollare non lo aveva, anche volendo rimaneva incastrato fra i suoi ingranaggi che, non mossi, lo avrebbero sovrastato e ucciso.
Bisognava continuare a combattere, dovevano svegliarmi.
DOVRANNO FARLO.

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